Riflessioni sulla “NORMALITÀ” PATOLOGICA e le “FERITE NARCISISTICHE” di Jean Bergeret
In altri articoli si è affrontato il tema delle strutture di base della personalità normale e patologica di Jean Bergeret e la relazione con i sintomi e l’emergere della malattia psichica.
In questo articolo si cerca di affrontare un tema caro all’autore ma anche a tutta la corrente psicoanalitica francese che riguarda le cosiddette “ferite narcisistiche” e lo strutturarsi di organizzazioni di personalità compensatorie.
Bergeret in questo senso parla di “normalità patologica” a proposito dell’uso da parte di alcuni pazienti di comportamenti convenzionali per mascherare grave carenze sul piano identitario. Gli sviluppi degli studi che hanno approfondito questi meccanismi hanno messo in evidenza che vi è un numero elevato di pazienti che dietro stili di vita considerati “normali” possono celarsi disturbi gravi dal punto di vista psicopatologico. In questi casi i meccanismi di difesa potrebbero permettere la simulazione di comportamenti più evoluti senza che non ci sia da parte della persona la percezione del senso di uno o dell’altro comportamento. Queste personalità potrebbero giungere all’attenzione del clinico in seguito a una serie di sintomi quali l’ansia, agitazione, tristezza. Un osservatore superficiale potrebbe ipotizzare che si tratta di individui con buone capacità intellettive ed emotiva proprio perché spesso hanno una famigli, un lavoro, dei figli amici ecc.. ma Bergeret nota come può accadere che questo stile di vita sorga per una tendenza al formalismo che va a compensare carenze profonde nello sviluppo della personalità. Per questo usa il termine “normalità patologica” proprio ad indicare uno stato che per la forma che prende può indurre il clinico in errore diagnostico.
Infatti sotto il meccanismo dell’adeguamento a comportamenti tipici della comunità di cui si appartiene può celarsi una psicosi latente, un disturbo della personalità, vari difetti del narcisismo, nevrosi ecc..
Bergeret sostiene che l’origine di tali personalità risiede in problematiche insorte in epoche precoci dello sviluppo psichico del bambino che hanno in modo più o meno grave danneggiato il suo fragile narcisismo. Pertanto in questi casi il bambino, non potendo godere di un adulto che lo rispecchi permettendogli la conoscenza delle sue più intime inclinazioni, per mantenere la prossimità del genitore sceglie la strada dell’adeguamento alle sue aspettative.
Autori come Winnicott, Deteusch e Katan hanno approfondito questi meccanismi psichici. Nella loro esperienza clinica si sono trovati a relazionarsi con pazienti che mostravano comportamenti che simulavano atteggiamenti convenzionali ma che al di sotto si celavano pensieri bizzarri, deliri o profonde ferite e difetti dell’autostima.
Questi studi hanno permesso la formulazione di diversi concetti chiave come il “Falso sé” di Winnicott, il “Come sé” di Helen Deutsch e la personalità prepsicotica di Katan, per la comprensione di alcune forme di organizzazione della personalità.
Questo discorso è propedeutico per entrare in merito a quelli che Bergeret chiama stati limite. La particolarità di queste organizzazioni di personalità sta nel fatto che a differenza della nevrosi e della psicosi che hanno una loro economia e struttura interna stabile e rigida queste organizzazioni sono per Bergeret delle “astrutturazioni”. L’autore sostiene che alcuni individui possono presentare delle gravi immaturità strutturali e compensare le lacune identitarie attraverso l’assunzione di comportamenti convenzionali.
Definisce queste modalità caratteriali chiamandole personalità “pseudonormali” ma egli sottolinea che spesso non corrispondono al una struttura fissa e definitiva come le strutture della categoria nevrotica o psicotica. Bergeret dice che all’interno di queste ultime categorie, ben definite nella loro evoluzione, i soggetti si difendono dallo scompenso adattandosi sia alla propria economia, sia ai propri differenti fattori di originalità: il che conferisce ai comportamenti relazionali elementi di singolarità che costituiscono semplici “tratti di carattere”.
L’autore osserva che le personalità “pseudonormali” non sono strutturate né in senso nevrotico, né in psicotico; esse si costituiscono, in modo a volte abbastanza duraturo anche se sempre precario, secondo accomodamenti diversi, non molto originali, che costringono questi soggetti, per non scompensarsi nella depressione, a “giocare a fare i normali”, e spesso più gli “ipernormali” che gli originali, in cui si osserva spesso il meccanismi il difesa dell’ipomania permanente. Siamo all’interno delle organizzazioni limite.
L’autore mette in evidenza che per comprendere questa tipologia di paziente che presente vari gradi di ferite del narcisismo è più semplice partire dall’alto ossia dalle organizzazioni limite con un buon funzionamento sociale che lui chiama “nevrosi del carattere”
Secondo lo psicoanalista infatti è la nevrosi del carattere che mostra più delle altre la particolarietà degli aspetti del narcisismo ferito. L’autore in riferimento alla sua esperienza clinica ritiene che queste personalità spesso indossano il costume del leader ma sono persone più abili a pubblicizzarsi che ad assumere un ruolo di comando e gestione dei gruppi.
Spesso il buon senso permette di smascherare, dopo un certo periodo di inganni riusciti e in situazioni sociologiche diverse, questi leader poco costruttivi. Si perpetua un circuito in cui i sottoposti si aggrappano per una durata più o meno lunga alle promesse e illusione che queste persone alimentano, per poi finire narcisisticamente deluse. Un circuito di reciproche illusioni e delusioni rievoca e vecchi scenari narcisistici che questi soggetti hanno vissuto durante la prima infanzia.
Queste persone possono manifestare differenti modalità caratteriali ma ciò che li accomuna è un difetto del narcisismo che li pone sempre nel miraggio di dover adeguarsi ai parametri dell’ideale dell’io.
Il dispendio energetico verso questo obbiettivo li pone in uno stato di continua paura interna nei confronti del fallimento, di conseguenza lottano in nome di un qualsiasi ideale o di un qualsiasi interesse più o meno idealizzato, a causa della la loro immaturità strutturale e le loro frustrazioni, e contro la depressione che è sempre in agguato.
Spesso per il loro costante impegno, durante la crescita per un po’ di tempo, riescono a eccellere in qualche abilità sembrando dei veri “piccoli geni” per la loro famiglia, il loro quartiere o il loro paese, oppure per l’ambiente in cui vivono e lavorano. Si tratta prevalentemente di un comportamento di ipomania compensativa ai bisogni narcisistici non soddisfatti. Così il riconoscimento del contesto sociale da un rifornimento narcisistico.
Ma essi non reggono a lungo il confronto con gli altri o con la realtà. E il caso di contrapporre le vere strutture (nevrotiche o psicotiche, con o senza statuto patologico) alle semplici organizzazioni meno solide, come queste.
Si tratta di forme organizzazioni instabili che non si sono stabilizzate in vere strutture ma hanno adottato modalità pseudoadattative spesso lacunose.
Sono persone che fanno fronte alla depressione con artifici caratteriali e psicopatologici diversi, e che escono dal quadro dei parametri di normalità”, nel senso della salute e cioè di adattamento economico interno alla realtà intima del soggetto. Le vere strutture non danno luogo a personalità “pseudonormali”, ma a seconda che esse rimangano o meno al di fuori delle rotture patologiche, possono portare a ciò che Canguilhemn (1966) definisce come “stati successivi di adattamento”, di “disadattamento”, di “riadattamento”, ecc. Invece queste organizzazioni, non avendo un’economia stabile sotto il primato genitale o psicoticocinvece, si comportano in modo molto differente.
In caso di trauma affettivo più o meno acuto, queste organizzazioni possono sia (prevalentemente) naufragare nella depressione, sia (a volte) evolvere verso un funzionamento di una strutturazione più solida e più definitiva di tipo nevrotico o psicotico. Ma anche se non si trovano frustrati da eventi stressanti e complicazioni affettive il loro stato difficilmente non può essere definito “normale”.
Questo perché sembra corrispondere ad una difesa energetica psichica troppo rilevante e costosa sul piano dei controinvestimenti necessari per il mantenimento di un narcisismo sempre confrontato con la dimensione dell’ideale dell’Io.
Infatti, un tipo siffatto di organizzazione non beneficia né dello statuto nevrotico dei conflitti fra Super-io e le pulsioni con i relativi compromessi stabili possibili, né, come nella struttura psicotica, di una scissione dell’lo che apporti anch’essa una relativa stabilità. (Bergeret, Pag 24)
Bergeret a questo proposito dice:
“Nelle organizzazioni “limite” si constata una lotta incessante per mantenere, con un anaclitismo ossessivo, una sicurezza narcisistica che copra i rischi depressivi permanenti. Tali esigenze narcisistiche costringono il soggetto a professare la religione di un ideale dell’ Io che induce a riti comportamentali ben al di sopra dei mezzi libidici ed oggettuali realmente disponibili a livello della realtà dell’ Io. Ciò porta il soggetto ad imitare sia i personaggi ideali prototipi di “normalità” sul piano selettivo, sia i personaggi che rappresentano la percentuale più elevata di casi simili fra loro nel gruppo socio-culturale di riferimento.”
Bergeret mette in evidenza che altri autori nella letteratura hanno menzionato personalità del genere, in particolare Winnicott e H. Deutsch. Infatti queste organizzazioni si avvicinano al modo di funzionamento mentale che D.W. Winnicott (1969) chiama “sé artificiale” o falso sé”, e che descrive come l’organizzazione di difesa più riuscita contro la depressione.
Oppure nel registro dei pazienti molto simile narrati dalla H. Deutsch (1934) quando, al seguito della filosofia tedesca dell’”als ob” (E. Vaihinger), parla di personalità as if”. Tali descrizioni di un carattere come se” hanno avuto un certo successo perché corrispondono ad una realtà clinica ricorrente, ma poco segnalata fino ad allora.
Lo studio di H. Deutsch è interessante anche sul piano descrittivo: iperattività reattiva, attaccamento agli oggetti esterni e alle opinioni del gruppo con dipendenza affettiva, senza tuttavia un disinvestimento oggettuale serio, grave labilità di fronte ai conflitti esterni, povertà affettiva e poca originalità, data la mobilità degli investimenti e il loro livello superficiale. C. David (1972) ha descritto le varie forme cliniche di tali atteggiamenti ponendo l’accento sulla tendenza a somatizzare, sugli elementi caratteriali, sulla sopravvalutazione dell’azione, sull’aspetto patologico non apparente del narcisismo (Super-io formalista, ideale dell’lo sadico, necessità del successo a tutti i costi), sul bisogno di iperadattamento alla realtà (incoraggiato dalla società), sul lato in realtà carenziale dell’adattamento (ad un unico fine), sull’abrazione delle pulsioni, sull’angoscia sottostante e sul lato artificia le delle apparenti sublimazioni. Riassumendo, C. David ritiene che le due principali caratteristiche degli “pseudonormali” siano costituite dalla debolezza narcisistica e dal fallimento della ripartizione fra investimenti narcisistici e investimenti oggettuali. (Bergeret, Pag 25) L’osservazione clinica che segue sembra corrispondere a questo genere di descrizione.
Bergeret scrive:
Al momento in cui venni a conoscenza del suo caso, Julien aveva cinquant’anni. Figlio di un modesto e riservato artigiano e di madre stupida, pretenziosa, inquietante, Julien fu allevato nell’odio verso i ricchi, nel timore e nell’ossequiosa considerazione della gente altolocata, e inoltre nell’ammirazione verso uno zio canonico “diventato qualcuno” e verso il fratello maggiore che aveva sposato la figlia del pasticciere presso il quale egli lavorava come apprendista. Come il fratello e le sorelle, anche Julien fu spedito molto presto “al lavoro” presso un commerciante del paese. Consigliato da un compagno più vecchio, frequentò un corso serale di ragioneria, quindi, conseguito il diploma, grazie alle raccomandazioni del padre di questo compagno fu assunto in una banca. Dato che è giovane, celibe, libero, idealistae aggressivo, e non ama restare solo la sera, diventa ben presto il “delegato” dei suoi colleghi per tutte quelle incombenze paraprofessionali alle quali gli altri impiegati non intendono sacrificare il loro tempo libero. Milita in un’organizzazione sindacale tanto violenta dal punto di ista verbale quanto conservatrice riguardo alle scelte la tenti. In questo modo, Julien puð allacciare relazioni amichevoli, rassicuranti da diverse parti, e godere allo stesso tempo della sim patia dei colleghi e della tacita complicità dei suoi dirigenti. Sempre in azione, in lotta (verbale), impegnato in discorsi, tra sferimenti, conferenze o trattative, egli raccoglie l’ammirazione di tutta la sua famiglia, compresi il fratello maggiore e lo zio. A poco a poco, riesce a farsi un nome presso i giornali locali, grazie anche a qualche brindisi fatto al momento giusto nei caffè situati di fronte alle redazioni e aperti fino a tarda notte. Egli diventa cosi consigliere di questo, delegato di quello, poi entra nell’amministrazione comunale e quindi nel consiglio gene rale; infine, grazie ad uno scrutinio incerto tra un candidato uscente troppo esposto come persona ed un avversario troppo esposto per le sue idee, Julien si ritrova in una posizione favorevo le che lo avvantaggia nel primo turno e gli assicura nel secondo turno una discreta maggioranza. Diventa cosi deputato di un’oscura circoscrizione: sa, però, or ganizzare cosi bene la sua propaganda personale che nessun partito importante osa ostacolarlo. Ě il “feudo” di Julien, si dice. Con lui si scende a patti, non ci si scontra mai… E non si ferma qui. La donna che aveva sposato, per caso, in una delle sue brevi soste nella scalata sociale (sosta di cui neanche più si ricorda), continua ad allevare modestamente i loro tre figli e a passare il suo tempo tra le faccende di casa, le telefonate (No, il signor Julien nonè qui, lo troverete sabato durante il suo orario di lavoro in Municipio”) ed il caffè preso sulla tela cerata della cucina, con le sue vicine casalinghe. Julien vive a Parigi con la sua “segretaria”, vedova di un suo amico, un vecchio militante dei primi tempi, e abituata, sulla scia di Julien e dei suoi colleghi, ai ristoranti costosi, ai teatri del Bou levard e ai bagni turchi. Chi potrebbe dirsi più felice di Julien? Chi potrebbe dichiararsi più “normale” di lui? Ecco però che uno sconvolgimento, all’apparenza politico, ma dalle radici ben più profonde, spazza via tutti coloro che non han no saputo impegnarsi abbastanza presto in un senso o nell’altro. Julien non è rieletto, malgrado i suoi sforzi dell’ultima ora e le promesse impacciate fattegli dai suoi amici sempre meno cordiali. Egli perde anche la sua amante, che diventa “segretaria” di uno dei suoi vecchi colleghi, il quale, cambiate in tempo le proprie opinioni, viene tranquillamente rieletto sotto una nuova bandiera di moda. Julien deve ritornare al suo paese, vicino alla sua modesta moglie, riprendere un impiego. Quale? La gente lo guarda con peno sa ironia. Anche i suoi figli lo aggrediscono con un disprezzo che egli mal sopporta. Julien crolla. Si angoscia, disprezza se stesso, non mangia più e dimagrisce, il sonno è disturbato, il polso si accelera. Non gli vie ne riscontrata nessuna alterazione dal punto di vista medico, ma lo si fa ugualmente ricoverare. Senza successo. La depressione aumenta. Una sera si viene a sapere che si è ucciso con la macchina. Le testimonianze concordano: Julien si è praticamente gettato contro un albero mentre stava rientrando a casa, dopo che un amico si era rifiutato di associarsi a lui in un’impresa commerciale, grazie alla quale egli sperava di riprendere (sotto la protezione di quest’ultimo) una nuova scalata sociale.
Analisi del caso secondo Bergeret
È evidente che Julien non era uno psicotico. Ma non era nemmeno mai giunto ad una reale struttura nevrotica, edipica e genitale: era rimasto bloccato fra queste due strutture in una condizione instabile. Aveva bisogno di nascondere la sua immaturità affettiva riparandosi dietro un brillante successo sociale, rinnovato in continuazione. Dissimulava inoltre la debolezza del suo potenziale genitale compensandola mediante l’aggressività verbale. La vicenda con l’amante costituiva più un aspetto puramente esteriore di successo sociale e di pseudosessualità che non un reale investimento genitale adulto. Se non avesse improvvisamente subito una ferita narcisistica inattesa, davanti alla quale si era sentito troppo disarmato, Julien sarebbe potuto rimanere ben adattato per molto tempo. Si è ammalato quando il suo scenario narcisistico ha ceduto e quando la povertà dei suoi scambi affettivi non ha più potuto essere mascherata dai meccanismi fino ad allora impiegati. Nel momento cruciale, Julien non ha potuto trovare altri mezzi per sostituirli, e nemmeno ha potuto compiere da solo il passo che lo avrebbe portato ad una maggiore sincerità verso se stesso. Se i medici, che invano avevano cercato di diagnosticare una malattia organica, avessero scoperto l’immensa disperazione affettiva nascosta dietro il suo collasso fisico e gli avessero consigliato una psicoterapia, Julien non avrebbe avuto alcun bisogno di scomparire. Senza alcun dubbio, grazie alle sue grandi qualità ed alla sua energia, egli avrebbe saputo trovare da solo delle nuove e più stabili Vie per la realizzazione dei suoi bisogni affettivi reali, che non ave vano nulla di riprovevole, nulla di particolarmente spaventoso. Ma il problema resta aperto: Julien, al tempo dei suoi successi, al tempo cioè della realizzazione dei suoi costosi controinvestimenti narcisistici ed antidepressivi (al posto di un adattamento ad una struttura stabile), poteva essere considerato “normale”? Il prezzo che ha dovuto pagare sul piano energetico per sentirsi riconosciuto come “normale” agli occhi delle sue istanze ideali cosi come agli occhi del maggior numero dei suoi simili è sempre stato alto. Questo prezzo, tanto elevato sul piano del controinvestimento, può essere ancora collocato entro i limiti del normale” ? La povertà dei suoi investimenti oggettuali, la precarietà del potenziale adattivo delle sue difese, cosi come le inibizioni delle sue soddisfazioni libidiche, giustificano I ‘uso del termine “normale”? Julien aveva realizzato, in un qualsiasi momento della sua vita, un’organizzazione affettiva centrata sulla sua originalità e sui suoi bisogni, o non considerava invece niente altro che l’immagine che egli dava di sé agli altri a causa di esigenze ideali che soffocavano i suoi desideri e le sue necessità economiche profonde?
Il bisogno, sentito come essenziale sul piano narcisistico, di conformarsi ad un ideale o ad una maggioranza di “gruppo-che-dà sicurezza” è garanzia di normalità”?
A proposito delle dinamiche di appartenenza ad un gruppo D. Anzieu (1969) riflette sul fattore di omologazione che questo opera nei confronti dei suoi componenti. Afferma che nel gruppo è possibile determinare l’inerzia inerente alla natura di ogni individuo, ai suoi comportamenti adattivi o meno, di fronte ad una trasformazione delle abitudini, delle conoscenze, o dei metodi fino ad allora impiegati. L’ansia generata spesso si oppone all’adattamento. L’ autoregolazione interna necessaria di fronte ai movimenti del gruppo non può essere ottenuta che grazie alle possibilità adattive di ciascuno dei suoi membri, tenendo conto delle attitudini e delle motivazioni individuali, intese come modalità di comunicazione del loro potenziale di mobilità. C. Chiland (1971) a sua volta afferma di non aver riscontrato nel bambino “strutture normali”, invece riconosce che i bambini che stanno meglio” hanno spesso una struttura profonda di tipo nevrotico. Come fa C. David (1972), conviene ricordare un consiglio di Henri Michaux: “Non affrettarti nell’adattamento, conserva sempre di riserva l’inadattamento” Bergert a conclusione di questo discorso afferma:
“la “normalità” non consiste nel preoccuparsi in primo luogo di come fanno gli “altri”, ma nel cercare durante la propria esistenza senza, angoscia né vergogna, come convivere al meglio con i propri conflitti e con quelli altrui, evitando tuttavia di alienare il proprio potenziale creativo ed i propri bisogni più profondi.”
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https://www.giuliadecarlo.it/il-concetto-di-personalita-normale-e-patologica-per-jean-bergeret/
Bibliografia
Bergeret J. ( 1964) Personalità normale e patologica.